sabato 14 novembre 2009

RECENSIONE di Renzo Montagnoli

Non posso fare a meno di concordare con Lucio D’Arcangelo sui pericoli che sta correndo la nostra lingua, in una evoluzione che assomiglia però più a un imbarbarimento che a un naturale ed equilibrato progresso.

E’ in quest’ottica che l’autore ha scritto questo breve testo, che ha chiamato Breviario di italiano, sottotitolato “18 punti per salvare la nostra lingua”.

Esagerazioni, timori infondati? Assolutamente no, perché purtroppo è sotto gli occhi di tutti, ma soprattutto di chi ama il proprio paese e la propria lingua che è in atto una progressiva spersonalizzazione che ne fa perdere i caratteri basilari, dando luogo a un linguaggio sgrammaticato, con un abuso ingiustificato di anglicismi.

Giustamente D’Arcangelo scrive che Dante creò una lingua per creare una nazione; se continuamente ci allontaniamo dal vocabolario delle nostre parole si perde così non solo l’identità linguistica, ma anche quella nazionale, tanto più che ancor oggi l’unico elemento unificatore è il linguaggio.

Purtroppo ci stiamo dimostrando un popolo ingrato delle nostre origini, di cui invece dovremmo essere fieri, prono alla conquista anche culturale degli Stati Uniti, di cui tendiamo a scimmiottare quell’inglese che è già una derivazione e una deformazione di quella lingua che è nata in Gran Bretagna.

Il ricorso a termini inglesi, anche storpiandoli, spesso in sostituzione di analoghi italiani, è la chiara dimostrazione dell’asservimento, da noi stessi voluto, a un paese che ha tradizioni culturali inferiori alle nostre.

E’ un servilismo non preteso dagli americani, ma, purtroppo, quasi amato dagli italiani.

In particolare, l’inglese è diventato una sorta di latinorum, di pessimo gusto, adatto a tutti gli usi e le occasioni.

Ed ecco che si scopre che sono circa 6.000 gli anglicismi in uso nella nostra lingua, quasi sempre del tutto inutili, perché vanno a sostituire termini già esistenti.

Che senso ha ricorrere al vocabolo share quando già, assai più comprensibile nel significato, abbiamo il termine quota? E perché, per una momentanea sosta nel lavoro, non diciamo più “facciamo una pausa”, ma quasi ci ingrassiamo a dire “facciamo un break”?

Si ha l’impressione di certi parenti poveri e ignoranti che, arricchitisi di colpo, vogliono dimostrare anche una crescita culturale ricorrendo, nel linguaggio, a termini astrusi, a vocaboli stranieri (nel XIX secolo faceva tanto “chic” intercalare delle parole francesi), quasi sempre usati a sproposito o addirittura senza conoscerne esattamente il significato.

E come sta sparendo nell’uso comune il congiuntivo, incorrendo peraltro in grossolani errori, questo popolo di santi, di navigatori e di storpiatori di parole si è inventato anche dei neologismi in sostituzione di termini da sempre usati, forse per gratificare di ben altra considerazione attività che restano sempre del tutto manuali, ma più che necessarie e dignitose.

Il netturbino diventa così operatore ecologico, il bidello operatore scolastico. A parte che così al posto di una parola se ne usano due, la nuova terminologia non riesce a chiarire esattamente l’attività svolta e non c’è nemmeno la possibilità di un’analisi etimologica per comprenderla. L’operatore ecologico, tanto per dare un esempio, potrebbe essere non solo l’operaio addetto alla raccolta delle immondizie, ma anche colui che si interessa alla conservazione della qualità dell’acqua, dell’aria, ecc. Per dirla in breve, per non far capire il tipo di lavoro svolto, ci si è inventati una qualifica che non ha nessun senso.

Del resto, di pari passo con lo svilimento della lingua si nota una sfilacciatura dell’unità nazionale, non più cementata da un idioma comune che richiama a quelle tradizioni che conferiscono agli italiani una base storica e culturale di cui tranquillamente si sono dimenticati, con il risultato che siamo diventati un popolo incapace di costruire il presente e di programmare il futuro.

“Ahi serva Italia, di dolore ostello”, giusta invocazione di Dante, ma questa volta gli italiani non sono servi d’altri, ma di se stessi, bambini non cresciuti che scimmiottano i grandi.


Renzo Montagnoli




sabato 24 ottobre 2009

All’attenzione del Sindaco e del Consiglio Comunale di Alice Castello (VC)

All’attenzione del Sindaco e del Consiglio Comunale di Alice Castello (VC)

Alice Castello, 24 ottobre 2009

“Ormai tutti hanno capito che l’anglicizzazione degli ultimi anni non è né fatale né necessaria ed anzi, quando non truffaldina, inutile e coatta. In Francia nel luglio 2003 è stato ufficialmente vietato l’uso di e-mail, sostituito con courriel, nei documenti della pubblica amministrazione. Cosa succederebbe se si prendesse una decisione analoga nel nostro paese?”.

Con queste parole Lucio D’Arcangelo conclude il suo saggio BREVIARIO DI ITALIANO: “18 punti per salvare la nostra lingua” (Edizioni Solfanelli, Chieti 2009) nel quale mette l’accento sull’ingresso sempre più inopportuno e invadente della lingua inglese nel nostro paese.
Che però questa tendenza abbia raggiunto livelli a tratti grotteschi – trend, welfare, call center, break, meeting, marketing, shopping, share, audience, fino a improbabili “occhial house” o “pizzacenter” -, è fatto che dovrebbe far riflettere su questa nostra dipendenza psicologica.
E i primi responsabili di tale andazzo sono troppo spesso i nostrani politici che per qualche astrusa ragione anche in questo campo riescono a far passare interessi non propriamente nazionali.
Fatte pertanto queste considerazioni e con l’intenzione di prendere coscienza su questo non secondario problema, suggerisco perciò a tutti i componenti del consiglio comunale di bandire l’intercalata “O.K.” che troppo spesso fà capolino proprio durante i pubblici consigli: un piccolo sforzo per un’importante presa di coscienza sulla ormai incontenibile decadenza della lingua italiana.

Lodovico Ellena
Assessore alla cultura
Alice Castello (VC)



PS
Il termine O.K. ha una sua curiosa storia. Alcuni affermano che si tratti dell’abbreviazione dei biscotti Orrin Kendall consumati dai soldati durante la guerra civile americana, altri invece sostengono sia l’abbreviazione del porto haitiano di Aux Cayes il cui rhum era particolarmente apprezzato dagli americani. Ma esiste una terza versione; Old Keokuk capo indiano, aveva firmato un accordo con le sue iniziali: secondo alcuni da questo episodio nacque il “tutto bene”, ovvero l’O.K. Fu nel 1839 che il termine apparve per la prima volta, ma un’ulteriore versione arrivò con i bollettini militari della Seconda Guerra Mondiale: “0″ (zero) killed, ovvero nessun morto.

giovedì 1 ottobre 2009

Novità: BREVIARIO DI ITALIANO di Lucio D'Arcangelo

L’italiano ha rappresentato, e seguita a rappresentare, il cemento unitario del Paese. Ne era ben conscio Vincenzo Monti, quando scriveva: «La lingua è l’unico legame di unione che l’impeto dei secoli e della fortuna, nè i nostri errori medesimi non hanno ancor potuto disciogliere: l’unico tratto di fisionomia che ci conservi l’aspetto d’una ancor viva e sana famiglia.» Ma in questi ultimi anni la nostra lingua ha risentito in modo evidente della nuova congiuntura storica. Da un lato la globalizzazione e dall’altro il regionalismo ne hanno messo a dura prova la tenuta. La latitanza delle classi dirigenti e l’indifferenza di molti italiani hanno fatto il resto.
Alcuni dicono che bisogna lasciare la lingua al suo corso. Ma in realtà, apertamente o no, le decisioni linguistiche sono prese comunque e dovunque, nel mondo politico, in quello economico e nei media, per contribuire ad una migliore comprensione fra i cittadini o, al contrario, per dividerli. L’alternativa non è tra intervento e non intervento, ma tra una politica dichiarata (overt policy) ed una non dichiarata (covert policy).
La lingua di una nazione non è qualcosa di già dato, ma il frutto di una laboriosa conquista, creazione consapevole di una comunità politicizzata. Nessuno può disinteressarsene e men che mai lo Stato.
Questo “breviario” racchiude quella che Giovanni Nencioni chiamava “una coscienza politica della lingua” ed espone le ragioni per tutelare un patrimonio linguistico plurisecolare che appartiene a tutti gli italiani.


Lucio D’Arcangelo è stato allievo di Giuliano Bonfante all’Università di Torino, dove si è laureato in Glottologia con una tesi su “La trascrizione dei nomi iranici in greco”. Docente dal 1971, prima presso la Facoltà di Magistero dell’Università di Torino e poi presso la Facoltà di Lingue dell’Università degli Studi “G. D’Annunzio”, nel 2000 ha lasciato l’università per dedicarsi più liberamente agli studi.
È stato il responsabile tecnico-scientifico del disegno di legge n. 993/2001 (ora n. 354/2008), per l’istituzione del Consiglio Superiore della Lingua Italiana.
Tra i suoi ultimi libri Difesa dell’italiano (Roma 2003), considerato una specie di “libro bianco” sullo stato della nostra lingua.
Già collaboratore del quotidiano “Il Tempo”, negli ultimi anni ha scritto su “Libero” e “Il foglio”. Nel 2006 ha partecipato alle trasmissioni di RAI International e in particolare al programma “Viva Dante!”.
Attualmente collabora a “Vita e pensiero” e a “Lingua italiana d’oggi”.



Lucio D'Arcangelo
BREVIARIO DI ITALIANO
18 punti per salvare la nostra lingua
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-89756-70-6]
Pag. 64 - € 7,00

http://www.edizionisolfanelli.it/breviariodiitaliano.htm